Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani

Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani

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La posterità è solo presunzione di lontananza, se il quadro antropologico non muta. Centottantasette anni ci separano da quel marzo 1824 in cui Giacomo Leopardi, non ancora ventiseienne, scrisse il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani: poche decine di pagine rimaste sepolte tra le carte e date alle stampe tardivamente, nel 1906. Noi, posteri dei lettori già postumi d'inizio Novecento, siamo presi da vertigine, perché quell’assenza di spirito pubblico che balzava all’occhio impolitico del giovane poeta, e si perpetuava nei primi decenni dell’Italia unita, è la stessa che ipoteca il nostro presente. Più che i vizi antichi d'un popolo in difetto di legame sociale, è infatti il vuoto di costumi – ossia condotte uniformi improntate a un’etica condivisa – il vero oggetto della riflessione di Leopardi. Nel campo lungo dello sguardo leopardiano figura oggi un altro «etnologo» d’eccezione, Franco Cordero, che ancora una volta si conferma diagnosta implacabile della «scostumatezza» italiana e del suo immobile dinamismo, riaprendo il Discorso proprio nel momento in cui si aggravano mali collettivi mai sanati. Due diverse prose di pensiero, due tonalità del disincanto rivelano l’intima fratellanza tra chi sa parlare del proprio tempo con la felicità di giudizio d'un classico.

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Sull'autore

Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi (Recanati 1798 - Napoli 1837) è uno dei maggiori poeti italiani dell'Ottocento. Tradusse classici e scrisse opere erudite, ma soprattutto poesie da cui affiora il suo pensiero sull'infelicità umana, con una parabola di pessimismo, ma anche il rifiuto delle forme consolatorie del Romanticismo e il suo spirito liberista. Fra le sue opere si ricordano i Canti, lo Zibaldone e le Operette morali.

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